Vita Pastorale – Lo Scudo di Achille

VITA PASTORALE (vv. 573-589)

La mandria (vv. 573-586)

«E vi raffigurò una mandria di bovini dalle corna diritte: le vacche erano fatte di oro e di stagno
e, muggendo, si affrettavano dalla stalla al pascolo, lungo un fiume dalle acque mormoranti, vicino
ad un flessibile canneto.
Quattro pastori, effigiati in oro, camminavano in fila insieme con gli animali, e nove cani veloci
li seguivano.
Nel gruppo delle prime giovenche, due leoni spaventosi tenevano stretto un toro mugghiarne:
questo, levando alti muggiti veniva trascinato via, e i cani e i giovani robusti andavano dietro alle sue
tracce. Ma i leoni, squarciata la pelle del grosso bue, già ne inghiottivano le viscere e il nero sangue;
invano i pastori tentavano di scacciarli, aizzandogli contro i cani veloci. Questi, veramente, si
guardavano dal mordere i leoni, ma, stando molto vicino, abbaiavano e li schivavano».

Il pascolo (vv. 587-589)

«E dentro una valle ridente lo Storpio illustre vi effigiò un pascolo, esteso, di candide pecore, e
stalle, e capanne coperte da un tetto, e recinti».

Nel testo omerico, una scena idillica di vita pastorale, caratterizzata dalle note di colore, suggerite
con i vari metalli usati dall’artefice (oro, stagno), e dalle suggestioni uditive (il muggito dei buoi, il
mormorio delle acque) viene stravolta dall’irrompere della violenza: il quadro diventa mosso,
trapassa verso toni drammatici (l’assalto al toro da parte dei due leoni), ma subito dopo torna la pace:
ancora una volta la vita e la morte, la serenità e la violenza si integrano dialetticamente.

Nella raffigurazione degli animali (il toro, in particolare) o nelle immagini di animali in lotta fra
di loro, o di belve che si avventano su altri animali, non è improbabile che il cantore si sia ispirato a
rappresentazioni simili, molto comuni nell’arte cretese-micenea (su tazze a rilievo o su lame di
pugnali intarsiate di oro e argento). E’ comunque un motivo non isolato nell’ Iliade: un riscontro molto
vicino è rappresentato da una similitudine del libro XVII (vv. 61-67): «Come quando un leone, cresciuto
sui monti, fiducioso nella sua forza, rapisce la giovenca più bella di un armento al pascolo, e,
dopo averla afferrata con i denti robusti, prima le spezza il collo, poi, sbranandola, ne inghiotte il
sangue e tutte le viscere; e, intorno, cani e pastori mandano, sì, alte grida da lontano, ma non osano
affrontarlo…»

Anche in questa scena Alessandro Romano ha operato isolando un particolare che diviene il
motivo centrale della sua rappresentazione e acquista così una particolare rilevanza. Eliminate le
notazioni idilliche del paesaggio fluviale e della mandria al pascolo, presenti nel testo omerico, egli
concentra la propria attenzione sull’ immagine del toro assalito dai due leoni: essa s’impone con la
propria evidenza plastica, su uno sfondo piatto, col quale si confondono le figure spazialmente vicine,
ma sostanzialmente estranee al significato della scena, dei pastori e dei cani. La bestia, ritratta in
un’orrenda smorfia di dolore, sta per soccombere alla violenza, improvvisa ed imprevista, delle due
belve, che affondano gli artigli e i denti nella sua carne: lo strazio dei suoi occhi, fissi nel vuoto, del
suo respiro anelante, che cerca disperatamente di trattenere la vita, comunicano con una grande
intensità emotiva la sensazione del dolore allo stato puro e dell’istintivo rifiuto della morte. Per la
seconda volta, dopo la scena della battaglia, appare sullo scudo la morte; ma, mentre lì essa era vista
come conseguenza tragica della guerra, qui è evento assoluto, che non trova una sua ragione d’essere,
se non nella violenza cieca, che può colpirci dovunque e comunque.

F.C.

Scudo di Achille in Bronzo - Lo Scudo di Achille Alessandro Romano