LA DANZA (vv. 590-605)
«E vi effigiò con arte, lo Storpio illustre, uno spiazzo per le danze, simile a quelli che un tempo,
nell’ampia Cnosso, Dedalo costruì per Arianna dalle belle chiome.
E qui danzavano giovani e splendide fanciulle, per le quali il marito donerà molti buoi: ed essi si
tenevano allacciate le mani per il polso. Indossavano le fanciulle vesti di lino, sottili, i giovani, invece,
vestivano tuniche ben tessute, che conservavano la tenue lucentezza dell’olio; le une avevano sulla
testa bei diademi, mentre gli altri portavano spade di oro appese a cinture argentee. E talora, essi
correvano in tondo con grande agilità sui piedi esperti, come quando un vasaio, stando seduto, prova
la ruota che si adatta alle mani, per vedere se gira; altre volte, invece, dopo essersi disposti su due
file, correvano gli uni verso le altre.
Una grande folla faceva cerchio intorno all’ incantevole spettacolo, provandone immenso diletto:
e due acrobati dando inizio alla festa, si esibivano nella ruota».
Il quadro festoso della danza conclude la rappresentazione degli aspetti della vita umana, così
come l’aveva aperta quello altrettanto gioioso delle nozze: il cerchio si chiude, e, al di là di esso, c’è
il mistero, inconoscibile per l’uomo.
La descrizione omerica esplicitamente si rifà alle testimonianze, antichissime e già ai suoi tempi
leggendarie, dell’ arte cretese, in particolare quella del mitico Dedalo, che qui costituisce quasi il
doppione dello stesso Efesto. Creta è rievocata dal poeta con una serie di riferimenti: Cnosso dalle ampie
contrade, con il suo teatro costruito da Dedalo, e la cui esistenza, all’ estremità N.O. del palazzo, i
ritrovamenti archeologici sembrano aver confermato, Arianna dai bei riccioli, in onore della quale
l’artista edifica lo spiazzo per la danza che celebra la vittoria riportata sul Minotauro da Teseo con
l’aiuto della regale fanciulla, l’usanza stessa della danza e degli esercizi acrobatici, così diffusi
nell’isola.
E, certamente, le agili figurine di giovani e fanciulle, che danzano armoniosamente, e quelle degli
acrobati, che compiono le loro evoluzioni, “parlano” alla nostra fantasia, nutrita delle immagini,
ricche di grazia, della pittura cretese, che questi soggetti prediligeva. Oltre che dalla suggestione delle
immagini, l’incanto di questi versi deriva dal particolare “colore” del lessico usato dal poeta, in cui
soprattutto l’ uso dell’ aggettivo ( o dell’ avverbio ) superando la tradizionale funzione formulare, rinvia
ad un’area semantica ben connotata, quella della grazia e della leggerezza: infatti, leptàs sono definite
le vesti delle fanciulle, e kalàs sono i loro diademi, éka risplendono le tuniche dei giovani, la danza
avviene refa mala e lo spettacolo che ne deriva risulta imeróenta.
Anche Alessandro Romano ha colto nella grazia e nella leggerezza l’aspetto peculiare di questa
scena. Al centro della composizione vi è il gruppo dei giovani e delle fanciulle che, in file contrapposte,
si riallacciano nella danza: il movimento vorticoso è sottolineato dalle vesti sottilissime, che
aderiscono alle membra delle ballerine, e dai nastri delle loro acconciature, che mollemente si
sciolgono al vento. Ai lati, il gruppo dei giocolieri, che fanno roteare nell’aria i loro attrezzi,
costituisce l’interpretazione da parte dello scultore degli acrobati omerici, mentre il suonatore di
cetra, che accompagna la danza con la sua musica, manca nella nostra traduzione: infatti questo
particolare (vv. 604-605) è stato espunto dal testo omerico, dal momento che non compare in nessuno
dei manoscritti dell’Iliade, anche se ci è stato tramandato dai grammatici alessandrini.
F.C.