La Città in Guerra – Lo Scudo di Achille

LA CITTÀ IN GUERRA (vv. 509-540)

La sortita (vv. 509-529)

«Intorno all’altra città stavano due eserciti di soldati, che rilucevano nelle loro armature, e un
diverso progetto li allettava: o distruggerla completamente, o dividere a metà tutte quante le ricchezze
che la incantevole città racchiudeva dentro di sé. Ma gli assediati ancora non si arrendevano, e segretamente,
si armavano per un’ imboscata.

Custodivano il muro della città, standovi sopra, le spose dilette e i teneri figli e, insieme con loro,
gli uomini che la vecchiaia opprimeva; i guerrieri, invece, facevano una sortita.

Ares li guidava, e Pallade Atena: entrambi di oro, indossavano vesti dorate, belli e grandi con le
loro armi; ed essi in quanto divinità, si distinguevano nettamente da ogni parte:
gli uomini, invece, erano un po’ più piccoli.

E quando essi furono giunti dove era loro possibile tendere l’agguato, e cioè al fiume, dove tutti gli armenti
si abbeveravano, qui subito si appostavano, coperti dal bronzo scintillante. Quindi, ad una certa distanza dai
soldati, stavano per loro due sentinelle, che spiavano il momento in cui scorgessero apparire le greggi e i bovini
dal passo tortuoso. E, ben presto, questi furono in vista: li accompagnavano due pastori, che si dilettavano del
suono della loro zampogna, e non avevano in alcun modo prevista l’insidia. Quelli che stavano in agguato, non
appena li ebbero scorti da lontano, si gettarono all’attacco e, quindi, rapidamente accerchiarono da ogni parte
le mandrie dei buoi e le belle greggi di candide pecore; poi uccisero i pastori».

la sortita - Lo Scudo di Achille Alessandro Romano
Disputa degli assedianti
scudo di achille - la sortita
La Sortita

La battaglia (vv. 530-540)

«I nemici, non appena udirono il grande strepito che proveniva dalla parte dove si trovavano i
buoi, mentre stavano seduti in assemblea, subito, montati sui carri tirati dai cavalli scalpitanti,
mossero all’assalto e, ben presto, li raggiunsero. Fermati i cocchi, ingaggiarono la battaglia lungo
le rive del fiume: gli uni colpivano gli altri con le lance dalla punta di bronzo. In mezzo a loro si
aggiravano Lotta e Tumulto e la Kere di morte, che afferrava ora un guerriero ancora vivo, ferito
da poco, ora uno illeso, ora, un altro già morto, trascinava per ì piedi nel tumulto della battaglia.
Ella indossava sopra le spalle una veste rossa del sangue degli uomini.
E, proprio come se fossero vivi, essi si scontravano e combattevano e trascinavano via i cadaveri
dei caduti dell’una parte e dell’altra».

Nell’ episodio della città in guerra il cantore torna ad uno dei motivi che caratterizzano la poesia
iliadica, cioè quello del combattimento: ma, siamo ben lontani dal clima di forte contrapposizione
fra due eroi-guerrieri, che si risolve in un duello individuale, in cui prevarrà l’areté dell’uno o
dell’altro. Qui, invece, si combatte o per desiderio di conquista e di rapina, o per difendere i propri
affetti e le proprie sostanze; in ogni caso c’è un agire collettivo, frutto di una decisione comune,
scaturita anche dal dibattito e dal confronto delle opinioni.

La scena omerica, una delle più complesse, movimentate e drammatiche dell’intera cornice narrativa,
si compone di due momenti. Il primo è costituito dalla sortita degli uomini, atti a combattere della città
assediata, guidati da due divinità, Ares ed Athena (da intendersi quest’ ultima probabilmente come Athena
Poliade, protettrice della città, dal momento che Athena di solito in Omero appare ostile ad Ares), sotto
lo sguardo ansioso delle mogli, dei figli e degli anziani; essi, teso un agguato ai nemici, sottraggono
loro il bottino già conquistato e, poi, ingaggiano una furiosa battaglia.

Il secondo è costituito dalla descrizione vera e propria della battaglia: dopo un avvio incalzante,
il ritmo narrativo si distende in un quadro di grande intensità drammatica: su uno sfondo cupo di
morte, aleggiano le personificazioni della Contesa, della Lotta e, soprattutto, domina le Kerefunesta,
truce divinità assetata di sangue. E’ la morte la vera protagonista di questo fosco quadro e, di fronte
ad essa, evento naturale, ma carico di mistero, il poeta sente il bisogno di ricorrere ad entità
sovrumane, a cui attribuire il compito di porre fine alla vicenda dell’uomo sulla terra e compiere il
destino inconoscibile per l’uomo, e perciò stesso, terrificante. L’orrore di questa descrizione non
nasce dal compiacimento del macabro, come nello Scudo di Eracle dello pseudo-Esiodo (vv. 248 e
ss: «E dietro di loro le livide Kere, digrignando i candidi denti, torve, terribili, insanguinate, inaccostabili,
lottavano intorno ai caduti: e tutte bramavano bere il nero sangue” ), bensì dallo sgomento di front e all’ evento della morte,
che è sentito comunque come violenza, come strappo lacerante: in una scena successiva (quella del toro assalito dai due leoni),
si avverte la stessa sensazione, forse in una dimensione di maggiore assolutezza, perché priva anche della mediazione costituita
dalla personificazione del destino di morte.

Della complessa, articolata scelta omerica Alessandro Romano ha isolato e messo in risalto i
momenti fondamentali: il campo degli assediami divisi sul da farsi, la sortita degli assediati, che
escono dalla città, sotto la guida di Ares edAthena per cogliere di sorpresa il nemico, l’imboscata,
con cui recuperano il bottino conquistato dai nemici, l’avvio della battaglia, a cui i soldati accorrono,
richiamati dallo strepito prodotto dalla cattura delle mandrie e dall’ uccisione dei pastori, la strage
finale. Coerente con il passo omerico è il ritmo narrativo, enfatizzato anzi dalla semplificazione stessa
dell’episodio: eliminati i motivi di contorno, presenti nel testo omerico, lo scultore mira a giungere
rapidamente all’ ultimo quadro, con cui raggiunge l’acme dell’ intensità emotiva: anche il paesaggio,
che ha una sua connotazione nelle prime due scene (le mura della città, il profilo dei monti) viene
ulteriormente spogliato e ridotto a nuda roccia e ad essenziali elementi arborei, che fanno da sfondo
alla tragedia finale. Preceduto dalla rappresentazione degli uomini, che, in preda alla Furia della
lotta (la figura alata che simboleggia le omeriche personificazioni di Eris e Kydoimós) si slanciano
verso la battaglia, inconsapevoli strumento di un destino già segnato, si apre il quadro che ha
protagonista assoluta la Kere di morte: le sue ampie ali si distendono implacabilmente sugli uomini,
soggetti al suo potere, mentre le altre due personificazioni omeriche, non più sentite entità esterne,
si sono modernamente interiorizzate nel guerriero che, disperatamente, lotta con la sua eterna,
inesorabile nemica. Al di là della lettera dell’ episodio, questa scena dello scudo si offre come momento
universale di riflessione sul destino dell’uomo, una pausa di grande impatto emozionale; ma, subito
dopo, con uno stacco appena percettibile, la vita riprende il suo circolare cammino: e siamo nella
scena successiva.

F.C.

Guidati allo scontro - Lo Scudo di Achille Alessandro Romano
Verso la battaglia
Disputa dei morenti - Lo Scudo di Achille Alessandro Romano
La strage
imboscata - Lo Scudo di Achille Alessandro Romano
L'imboscata