Giubileo 2000 – Di Alessandro Romano

Giubileo 2000

di Alessandro Romano

Desidero presentare la mia testimonianza attraverso alcune riflessioni personali, espresse ad alta voce: cosa che non mi è usuale. In quanto scultore, sono abituato ad esprimere i miei sentimenti con altro linguaggio. Mi auguro, tuttavia, che questo mio intervento possa in qualche modo contribuire alle finalità dell’incontro.

Il richiamo del sacro è stato in me sempre presente, ma per molto tempo non è adeguatamente emerso: per mia immaturità e per un orientamento della cultura dominante che, anche nel mondo dell’arte tendeva ad escludere alcune tematiche, mi sono sentito condizionato fino ad impedire a questa energia di manifestarsi. Così il mio lavoro, per tanti anni, è stato pervaso da un’incessante e profonda insoddisfazione.

L’approdo alla mitologia, dopo svariati anni di ricerca, fu il mio primo avvicinamento concreto ad un “Sacro”, una autentica palestra, attraverso la quale mi stavo preparando, senza piena coscienza, al Sacro “cristiano”: questo, per me, chiaramente vero.

Sono convinto che l’arte sacra è la forma più alta di arte che l’uomo possa raggiungere, perché alle capacità proprie si uniscono i doni dello Spirito Santo. Si potrebbe, pensare che basta realizzare un quadro o una scultura, dedicato a questo, a quel santo o ad un qualsiasi soggetto religioso, perché un’opera diventi straordinaria. Ma non è automaticamente così, né sul piano estetico né su quello religioso. Il dono va chiesto e accolto con perseveranza e umiltà, riconoscendo i propri limiti, cercando l’aiuto di quanti possano accompagnarti nell’intimo dell’opera da realizzare, leggendo e riflettendo fino a che non si formi in noi la prima traccia. In questa traccia bisogna buttarsi e scavare, per farla diventare un solco sempre più profondo che conduca alla definizione dell’opera.

Mi piace ricordare ciò che si dice riguardo al Beato Angelico, cioè che questi dipingesse in ginocchio, non perché io sia in grado di realizzare quanto fece questo santo artista, ma per tener sempre presente la disponibilità totale che bisogna avere in questi momenti, ossia l’animo completamente aperto e attento ai suggerimenti del Soprannaturale, così come l’amorosa cura, conseguente a quell’ardore missionario che brucia dentro, di essere canali di catechesi, mezzi di catechesi attraverso il linguaggio universale del “bello” nel convincimento che bello, buono e vero convergono. Convergono non in un concetto ma in una persona, l’adorabile Persona di Gesù Cristo Unico Salvatore, senso e fine di tutto.

Mentre dico tali parole, mi si forma nella mente l’idea delle due pareti che impediscono le distrazioni e convergono verso questa definizione. Ognuno di noi sa quanto sia difficile rimanere concentrato, sia nella preghiera come nelle altre attività. E da questa consapevolezza che nasce un mio grandissimo desiderio, quello di realizzare ogni volta un lavoro chiaro, un lavoro nel quale si possa leggere, o meglio sentire, ciò che vi è dentro, oltre quello che appare nella raffigurazione. Il rischio di una carenza di tale chiarezza mi ha sempre preoccupato fortemente, forse perché penso che in questa mancanza possa innescarsi un teorema perverso, che prevede, di fronte ad un’opera che non comunica, prima l’indifferenza, o addirittura la contestazione, poi il rifiuto e quindi l’abbandono.

La consapevolezza di quanto ho tentato di comunicare, l’ho percepita concretamente durante il mio lavoro. Ne è esempio una delle mie ultime opere, che mi ha visto impegnato per due anni al progetto e alla realizzazione della Porta del Giubileo, montata quest’anno nella Basilica Pontificia di San Michele Arcangelo a Piano di Sorrento. Un grande portale in bronzo policromo, delle dimensioni di sei metri di altezza per tre di larghezza, dedicato alla Santissima Trinità: un tema straordinario, la rappresentazione più importante che possa capitare ad un artista.

L’entusiasmo e l’ebbrezza uniti ad un reverenziale timore di affrontare un tema così rilevante mi portavano a parlarne con tanti amici, sacerdoti e laici, con i quali mi sono dilungato in grandi discussioni e, grazie a loro, in profonde riflessioni. Colgo l’occasione per ringraziarli tutti pubblicamente. Infine, con la lettura del XXXI canto del Paradiso, nel quale Dante descrivendo la “Candida Rosa”, così straordinariamente racconta ciò che è impossibile all’uomo raccontare, si materializzò nel mio cuore l’idea del portale: un turbinio di angeli che si immergono nell’immensità della luce trinitaria.

Durante la realizzazione del pannello centrale superiore, che raffigura il cerchio di luce nel quale si materializza la Santissima Trinità, e più precisamente nella prospettiva degli angeli che vi si effondono scomparendo in esso, fortissimo è nato in me il desiderio di rappresentare la Croce. Uno straordinario impulso: sentivo di doverla realizzare, non avevo alternative.

Ma come?

Quasi senza accorgermene, gli angeli che formavano il coro cominciarono a girare in modo diverso; anzi “volavano” in modo diverso. Questo era il suggerimento che stavo aspettando: una croce di angeli che si scioglieva e si espandeva dalla luce della redenzione.

La gioia di aver trovato quello che cercavo mi fece superare qualsiasi tipo di fatica o difficoltà. E non dico quante volte parti del pannello siano state distrutte e rifatte completamente, per cercare di arrivare a quella sensazione misteriosa, a quell’equilibrio indecifrabile. Non dovevo lasciare spazio a nessuna forma di interesse contingente che mi impedisse il raggiungimento di questo traguardo.

Solo dopo, come mi capita sempre, riflettendo cominciavo a capire il perché della croce. Il segno per eccellenza non poteva mancare nella rappresentazione, un segno fondamentale per noi cristiani.

Spesso, durante la lavorazione, mi ritornavano in mente le parole di don Arturo, il parroco per il quale ho eseguito il portale: “Quello che noi stiamo realizzando – mi disse – è una preghiera perenne rivolta all’Altissimo”. Riconosco in queste parole una profonda verità, che mi fa nascere nel cuore un sentimento di infinita riconoscenza verso il Signore.

Vorrei che in ogni Chiesa ci fossero opere vere, sentite, belle.

Purtroppo non è così.

Spesso mi capita, visitando una chiesa, che un senso di disagio mi invada l’animo, la sensazione di un’occasione perduta mi cade addosso. Avverto come il luogo sia stato riempito in fretta o senza la dovuta riflessione, non badando agli elementi propri, caratterizzanti ogni opera sacra.

Certo, un po’ di confusione c’è, al punto che l’arte sacra a volte viene compressa sotto la voce “arredi sacri”, con il rischio di considerare superficialmente tutta la problematica dell’arte sacra, riducendola unicamente ad una questione decorativa o funzionale.

Come mai ciò accade?

Possibile che non ci sei renda sufficientemente conto di questa problematica, al punto che si commissionino, si eseguano e si acquistino opere di tale superficialità, da risultare addirittura offensive sia del sacro che dell’arte?

La chiesa è il luogo dove noi dialoghiamo con il Signore e non c’è posto per le banalità, qui dentro tutto deve essere vero, non ci possono essere finzioni ed arrangiamenti.

È sull’onda di queste riflessioni che non posso, non debbo e non voglio ignorare ciò che sta accadendo intorno a P. Pio.

Per evidenti ragioni di lavoro, nelle fonderie mi imbatto spesso in opere incredibili, sculture che non si sa chi rappresentino, spacciate volgarmente per immagini di questo straordinario santo solo perché hanno un saio o perché hanno le mani fasciate. Mi domando perché ci si accontenti di tanto poco: a che serve avere una scultura di P. Pio se vi si riconosce questi solo per la targa con il nome e non per l’anima eccezionale che possedeva e possiede?

Per concludere, un’ultima breve riflessione, velate di nostalgia, sulle vetrate.

Questa mirabile invenzione sfrutta la luce naturale che illumina uno spazio per farne una luce spirituale che fa risplendere l’anima. Un grande palcoscenico, che con il sole si accende per raccontarci questo o quell’episodio o comunicarci la luce dello Spirito. Questa si fa catechesi. Purtroppo anche questa straordinaria espressione artistica spesso oggi è ridotta a insensata esplosione di colori: un inutile gioco pirotecnico e non più catechesi.

Concludo cercando di fugare ogni possibile malinteso: io sono un artista figurativo, sensibile al recupero della tradizione iconografica, ma profondamente convinto che non c’è una tendenza artistica più adatta di un’altra ad esprimere il Sacro. Non ha importanza il linguaggio che si adopera: ad ognuno il suo, tutti gli artisti di tutti i tempi costituiscono piccole tessere del grande mosaico che è l’Arte Sacra e questa, se è veramente tale, è sempre veicolo efficace di una catechesi che illumina l’intelligenza, che riscalda il cuore, che muove la volontà.

La mia speranza e il mio più grande desiderio è che queste tessere brillino intensamente tutte, per aiutarci a leggere con il cuore ciò che è impossibile leggere diversamente.

Grazie

— Alessandro Romano

Santissima Trinita