Alessandro Romano – Di Claudio Strinati

Alesssandro Romano

di Claudio Strinati

Alessandro Romano è oggi uno dei nostri scultori più noti e significativi. Già la cosa in sé merita un chiarimento, perché se c’è stata una forma d’arte depressa nell’ultimo scorcio del ventesimo secolo è proprio la scultura. Mentre nella prima metà del Novecento la scultura ha viaggiato di pari passo con le più importanti esperienze artistiche del tempo, attraversando le molte fasi dell’avanguardia, del ritorno all’ordine, delle nuove avanguardie sorte intorno alla metà del secolo; nella seconda metà è stata caratterizzata da un progressivo calo d’attenzione da parte del pubblico e di impegno da parte degli artisti creatori.

È difficile spiegare un tale fenomeno ma è particolarmente importante metterlo in luce quando ci si pone ad analizzare e illustrare la lunga e complessa parabola di uno scultore come Alessandro Romano, personalità ricca di implicazioni e di esperienze, nutrito di una cultura classica vasta e fortemente metabolizzata nonché conoscitore acuto e consapevole della sbalorditiva evoluzione linguistica della sua arte.

Va ricordato, allora, come Alessandro Romano nasca all’arte in un clima culturale che caratterizzava l’ultimo trentennio del Novecento, volto a un audace ritorno al passato che incontrò, all’atto della sua formulazione, vivaci polemiche, memorabili scontri, entusiasmi e  denigrazioni. La posizione di Alessandro Romano, in quella fase di esordio, fu difficile e lineare nel contempo. Devoto della forma classica, Romano condivideva in maniera spontanea quella linea di pensiero che, nata nei dibattiti inerenti al postmodernismo e al cosiddetto “pensiero debole ”, tendeva ad affermare nel dominio delle arti figurative una sorta di “blocco del Tempo ”, di congelamento della dialettica storica fatale e inevitabile, a favore di una ipotesi dottrinale di individuazione di un punto ben preciso della storia cui fare riferimento per la creazione dell’opera d’arte, remotissimo dalla nostra epoca e forse dalla nostra sensibilità, ma proclamato come esemplare e intramontabile, sia in sede critica sia in sede creativa. Va detto come Alessandro Romano non abbia mai aderito in maniera astratta e preconcetta a un vero e proprio “movimento ”, ma si sia piuttosto mosso in sintonia con le esperienze di alcuni suoi coetanei e insigni comprimari particolarmente interessati sul duplice piano della creazione e della meditazione.

Alcune delle prime cose di Alessandro Romano, infatti, già attestavano una posizione diversa da quella degli altri. Mentre molti predicavano il ritorno al mestiere e alle attitudini artigianali della creazione artistica, Alessandro Romano lo faceva sul serio e spontaneamente senza troppe teorie, dando di sé prova sovente altissima nella capacità di plasmazione della materia, di elaborazione della forma, di impegno espressivo  videntemente connesso con le grandi esperienze del passato ma alieno dal citazionismo diretto o dal riferimento troppo esplicito. Certo il conoscitore di storia dell’arte non aveva difficoltà a rintracciare nel linguaggio di Alessandro Romano tanti spunti e tante idee evidentemente connessi con la grande plastica barocca e con il virtuosismo memorabile di tanti artefici del passato. Ma, come talvolta accade, questo profluvio di capacità avrebbe potuto tradursi in un risultato negativo per l’artista. Era bravo e forse per qualcuno troppo bravo, con il rischio di esporlo alla facile critica della straordinaria e indiscussa capacità disgiunta da una reale esigenza creativa. A dire il vero la dedizione e l’amore per l’arte sono stati sempre talmente evidenti e dichiarati dal Maestro che a nessuno è mai veramente venuta in mente una critica del genere, ma non c’è dubbio che il talento naturale unito a una educazione ferrea della mano esposero e forse espongono Alessandro Romano all’invidia e a forme non sempre generose e nobili di emulazione. Ma, d’altra parte, questa dimensione magniloquente e grandiosa fu presente da subito nella creatività spontanea del Maestro e gli è rimasta sempre, permettendogli di focalizzare ben presto la sua natura vera e profonda e consentendogli di poter dire una parola rilevante nel grande dibattito sulla sorte e il senso dell’arte della scultura in sé, oggi ritornato vivo e fecondo.

Negli ultimi venti anni, dunque, è accaduto un fenomeno di cui lo stesso Alessandro Romano può dirsi a pieno titolo protagonista. L’arte della scultura, che era scesa di livello e di interesse, è diventata l’arte guida del nostro Tempo, dato che l’orientamento generale si è ormai rivolto a quella dimensione articolare che si ama adesso definire “installazione ”.

Con questo termine, ormai, si inquadra una miriade di fenomeni che sono diversissimi tra loro, ma questo è il dato di fatto. Non c’è ormai opera d’arte segnalata all’ attenzione di tutti noi che non venga chiamata “installazione ”. Sembra quasi la formula magica per convincerci tutti che è perduta definitivamente la canonica articolazione delle arti consistente in architettura, pittura, scultura e arti decorative come si è per secoli pensato. L’installazione è ciò che va al di là, è quindi l’arte moderna per antonomasia, è la garanzia del risultato e dello scopo principale se non unico dell’artista contemporaneo: vivere, come è peraltro sacrosanto, il proprio tempo e interpretarlo coerentemente con le esigenze del nuovo pubblico e dei nuovi esperti. Senonché l’installazione, per lo più, altro non è che l’ampliamento, fisico e concettuale, dell’arte della scultura anche se le forme sono abissalmente diverse da quelle del passato. La scultura è l’arte che determina gli orientamenti anche della più spericolata e audace installazione e la struttura di tanti aspetti dell’arte contemporanea ricade sotto il territorio della dimensione scultorea, si tratti di moda, di cinema, di pubblicità, di dominio televisivo. Ma in sede teorica questo spetto non è stato mai ammesso fino in fondo e l’esperienza di Alessandro Romano si è sviluppata avendo sempre presente, a livello conscio ma anche inconscio, questo assillo tipico dei nostri tempi.

Romano è un autore, lo si è osservato, iperbolico e grandioso ma, scendendo al di sotto della superficie delle cose, si comprende bene il perché. Perché nella esaltazione della sua stessa professionalità, nell’impegno etico e estetico insieme che lo ha portato alla realizzazione di magnifiche opere pubbliche proprio come fecero tanti antichi prima di lui, nell’orgoglio di una creatività impetuosa e carica di materia, l’artista ha portato il suo contributo determinante e unico a una questione, quale è quella del “dominio” della scultura nel nostro Tempo, che lo ha imposto come personaggio che non arretra di fronte alla perentoria affermazione delle sue idee ma che, al contrario, trae la sua grandezza proprio da questa sorta di coraggio della creazione di cui oggi possiamo fare non tanto un bilancio quanto una messa a punto. E c’è una specie di interna necessità di verifica e di confronto che induce la critica e l’artista stesso a misurarsi ora con la dimensione monografica, perché indubbiamente Alessandro Romano ha attraversato una serie di fasi e momenti che giustificano del tutto questo suo essere visto quale figura centrale di un dibattito cruciale per la coscienza estetica del nostro Tempo.

Artista generoso e dotto, spontaneo e profondamente meditativo, Alessandro Romano può dunque essere proclamato figura emblematica che vive oggi nel vagheggiamento di un antico più mentale che fattuale. La sua resurrezione del mito classico, spesso presente in numerose opere, non è un ricalco ma una ricreazione. È come se Romano si fosse immerso in uno spazio e un tempo che sono collocati in una lontananza perenne, non riferibile ad alcun momento preciso del passato, ma sedimentati nella memoria di tutti noi. È la vera classicità, eterna e irrinunciabile, che ha caratterizzato tutta la storia dell’arte italiana e di cui non c’è nulla da trascurare. Oggi il Maestro ha assunto un ruolo rilevante.

Commissioni prestigiose, esperienze a largo raggio internazionale lo hanno collocato in una posizione che risulta chiara e risulterà ancora più chiara nelle pagine di questo libro che sono, nel contempo, un omaggio reso a lui e una messa a punto di un intero capitolo della storia dell’arte italiana della nostra epoca, fervida e ricca come fu in passato ma da esaminare forse con una attenzione e un senso critico particolarmente attenti, considerate le innumerevoli sollecitazioni che arrivano all’occhio del pubblico e che non sempre riflettono quei valori che vi vengono proclamati.